Il primo approccio con il disegno iniziò all’asilo.
Le suore gli misero in mano, per la prima volta, dei pastelli e un foglio bianco e da subito si sprigionò la magia del creare.
Mattia aveva tre anni ma era evidente una straordinaria dimestichezza a riprodurre tutto ciò che osservava. Iniziò con semplici paesaggi speculari, il cielo e la terra, separati in modo netto da una linea celeste e una verde uniti da un sole sorridente, ma già l’anno successivo il tratto divenne più raffinato e preciso.
Una maestra rimase sbigottita e lo definì “un mostro” quando vide raffigurata, in prospettiva, una macchina della formula 1. Aveva solo 4 anni quel piccolo, promettente, artista.
Ma il disegno non era sufficiente a contenere una creatività strabordante e qualsiasi materiale divenne uno stimolo per dar vita ad oggetti di ogni tipo. Giocava alla guerra e inventava delle armi fantascientifiche con ciò che recuperava.
La creatività albergava in lui come un pozzo inesauribile e con estrema facilità riusciva a riprodurre la realtà nei minimi dettagli. Dotato di un acuto spirito di osservazione e un animo sensibile, durante l’adolescenza, soffrì delle continue frizioni con un professore di educazione artistica e iniziò a non applicarsi più nel disegno che pian piano mise da parte. Forse anche per questo, alle superiori scelse il liceo scientifico. Lo studio tecnico lo aiutò a prendere consapevolezza di altre capacità innate e della facilità con cui riusciva a realizzare qualunque oggetto.
“La materia ha un’anima e dal niente posso creare qualsiasi cosa. Questa è diventata una filosofia di vita per me e mi accorgo di sviluppare un attaccamento verso gli oggetti – ammette Mattia – anche una tazzina di caffè ha un’energia”. Dopo cinque anni di stop dal disegno, sollecitato da una ragazza, Mattia riprese in mano le matite e le fece un ritratto in bianco e nero.
Apprezzate le indiscusse capacità artistiche l’amica lo spronò ad assecondare il suo dono e per il compleanno gli regalò un set di colori. Mattia non si sottrasse all’invito, acquistò l’occorrente e per ringraziarla, la ritrasse in un nudo, utilizzando i pennelli e la pittura acrilica.
Realizzò anche numerosi altri ritratti e quadri colorati ma poi ci fu un nuovo periodo di ferma quando, all’età di 25 anni, dalla Sardegna, si trasferì in Francia per lavorare in una società di moda dove si occupava degli allestimenti e delle scenografie per le vetrine.
Ma come accade spesso agli artisti, i talenti non si possono mettere da parte troppo a lungo, così, per soddisfare le richieste di un cliente della madre, iniziò a disegnare alcuni motivi tipici della Sardegna da stampare sulle maglie.
Bastò questo per far rifiorire una vena artistica solo in parte sopita e appena si riaccese si sviluppò in diverse direzioni. Con un materiale di recupero, i pallet, Mattia realizzò alcuni lavori di bricolage per il locale di un’amica e dei vasi per il giardino pensile.
Anche i disegni e i soggetti rappresentati seguirono la naturale crescita evolutiva.
Nelle opere compaiono simboli e figure della tradizione sarda rivisitata in chiave moderna. I boes con le campane stilizzate, le maschere, i Mamuthones, la pintadera e i giganti di Mont’e Prama.
Il prototipo dei giganti nasce da alcune domande. “Perché hanno gli occhi così tondi – si interroga Mattia – cosa hanno visto? Perché appaiono così innaturali e costruiti?” E a queste osservazioni si collegano le ambientazioni: “il cielo e lo spazio – prosegue – sono un richiamano al mistero della notte, all’origine dei giganti, al luogo da cui provengono. In tutti i campi artistici – spiega Mattia – vorrei dare un’impronta moderna alla tradizione, ai miti e alle leggende sarde così radicate nell’isola”.
Anche la scelta dei colori non è casuale. “Il colore è troppo esplicito, il mio stile tende ai toni scuri perché conferiscono mistero, intrigo e danno spazio all’immaginazione di chi guarda, senza inibire ma se mai fungono da stimolo. Il bianco e il nero sono elementari, la base di tutto, il contrasto per eccellenza. Forse il mio spirito – conclude Mattia – così viene rappresentato”.
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